Il secolo difficile

di Guido Tampieri


Io che qui sto morendo
E tu che mangi un gelato…
Lucio Dalla
Tutte le decisioni che l’umanità deve prendere per schiudere le porte del futuro sono difficili.
Di contro, le sole ricette che la politica propone e la gente apprezza sono quelle facili.
In questo spazio dilatato si consuma la solitudine del pessimista.
Salto nel buio
Mentre Europa muore gli stupidi gioiscono.
Seduti sulla tolda della nave che affonda uno stuolo di politicanti di destra, di sinistra, né di destra né di sinistra, accomunati da una rivoltante irresponsabilità, gridano vittoria.
Cosa ci sia da festeggiare nessuno lo sa.
Quella su cui siamo imbarcati è l’unica nave che, con opportune migliorie, può tenere il mare in tempesta del mondo globale.
In cantiere non ce ne sono altre, nemmeno progettate, mancano gli ingegneri.
Solo vane parole.
E l’idea demenziale di solcare gli oceani con delle piccole batane a fondo piatto, buone al più per navigare il Po in magra di questa stagione.
Manica di imperdonabili sciagurati.
Sulla nave che volete affondare non ci sono solo burocrati e banchieri, ci sono le uniche speranze che questo continente feroce ha prodotto nell’ultimo secolo, c’è il lavoro di due generazioni, il futuro dei nostri ragazzi.
C’è qualcosa da conservare.
Non possiamo buttare a mare tutto perché qualcosa manca.
Democrazia
Un popolo stremato con due pistole alla tempia, quella di un presente insopportabile e quella di un futuro oscuro, ha scelto di premere il grilletto della seconda.
Sperando che sia scarica.
Qualcuno glielo ha promesso, malgrado Paul Krugman, icona dei critici dell’euro, abbia messo in guardia dalla faciloneria ideologica di chi pensa si possano bellamente trascendere le condizioni di un Paese indebitato, privo di credito finanziario e politico.
Una vittoria del si, aveva detto alla vigilia, rischia di incoraggiare gli architetti del fallimento europeo, ma nel caso si votasse no ci troveremmo su un terreno spaventoso e sconosciuto.
Quello di domenica è stato un pronunciamento democratico ma non libero, condizionato dai ricatti e dalle bugie, all’oscuro delle reali conseguenze della scelta che si andava a compiere.
Non è stata una vittoria della dignità contro l’austerità.
Se tutto andrà bene, come ci auguriamo, il futuro riserva al popolo greco una diversa intensità dell’austerità.
Le sue sofferenze non sono finite e Dio non voglia che il battito d’ali della farfalla ateniese produca un uragano in Europa.
Non c’è niente di definito nel tracciato dei negoziati europei.
E niente di garantito nel percorso dell’UE.
Gli anti europeisti finora hanno giocato facile, con la rete di protezione dell’Europa che c’è, al riparo dal rischio della verifica dei loro azzardi.
Bisogna compiere uno sforzo per cogliere in quel voto la volontà e il presagio di un’Europa migliore.
Quel che si vede sono le ombre di vecchi nemici e di nuovi pregiudizi.
A soffrire di questi anni difficili è l’idea stessa di Europa, non solo di “questa Europa”, che ci piace immaginare in crisi solo per colpa della Germania.
E’ lo spirito europeista che sta affievolendo.
Molti Paesi europei, dentro e fuori l’euro, hanno problemi importanti.
Le cause sono differenti ma il denominatore comune è che la responsabilità viene ricercata non negli errori, nei limiti, nei vizi di ciascuno di essi, ma nell’Europa madre di tutte le disgrazie.
Salvini vuole un’altra Europa, Grillo un’altra ancora, tutti invocano l’Europa dei popoli, che a dirlo non costa niente, ma quanti vogliono costruire, Governi e popoli, gli Stati Uniti d’Europa, con la cessione dei poteri che comporta, i diritti e i doveri, la condivisione solidale degli obbiettivi, il cambiamento di mentalità?
Siamo europei quando ci conviene, nazionalisti quando ci pare, campanilisti sempre.
Incapaci di coltivare un nuovo senso di appartenenza, di sentirci cittadini di una patria comune, di vestire gli abiti di un’identità plurale.
Con efficace espressione Romano Prodi parla dell’Europa come di un “pane cotto a metà”.
Il paradosso è che maldestri fornai che non sanno renderlo commestibile completando la cottura scaricano la responsabilità su chi ha fatto l’infornata.
Stiamo morendo di fame non perché il progetto di Lisbona volava troppo alto ma perché, in 15 anni, gli Stati membri non l’hanno saputo né voluto portare avanti.
Nell’indifferenza dei più.
Dobbiamo rispettare il voto del popolo greco e cogliere i tratti che lo distinguono dal nazionalismo xenofobo che infetta il vecchio continente.
Ma la marea euroscettica non si arresta con le narrazioni di Vendola.
Chiedere alla gente, sotto una pressione terribile, a quale albero vuole impiccarsi, è stata una fuga dalla responsabilità.
Non bisognava arrivare a questo.

 Sepolcri imbiancati
Alcuni facoltosi politici italiani sono volati ad Atene a gridare il loro no all’accordo con l’UE.
Il prezzo di una mancata intesa, di un default, dell’uscita dall’euro e, forse, dall’Europa, lo pagherebbero i greci con sofferenze terribili.
Per Grillo, Vendola e Fassina una bella conferenza stampa e chi si è visto si è visto.
Viaggi aereo in business, per favorire la circolazione del sangue, e poi a nanna.
In confortevoli letti di lana.

L’acqua calda e la doccia fredda
Il primo ad introdurre in politica la categoria dell’austerità fu Enrico Berlinguer.
Erano gli anni ’70 e il ricorso al contenimento della spesa pubblica e alla moderazione salariale si era reso necessario per fronteggiare una crisi importante e preparare le condizioni per la rinascita.
Il segretario del PCI non era succube di poteri forti, non aveva simpatia per la grande finanza e aveva a cuore la condizione delle classi subalterne non meno della poltiglia massimalista che, ora come allora, se ne arroga la rappresentanza.
Nessuno sano di mente vuole l’austerità perché gli piace, non foss’altro che non porta consenso.
Tutti siamo contro la recessione e per il lavoro.
Ognuno capisce l’utilità di investimenti pubblici, se non fosse che sono frenati da un debito mostruoso.
Chi non vorrebbe salari più alti, pensioni decenti, un bilancio sanato, le tasse calate, la botte piena e la moglie ubriaca?
Subito, magari, che è meglio che dopo.
Ma chi di questi indignati professionali saprebbe comporre, con l’arte della politica e la scienza dell’economia, questo difficilissimo puzzle?
Flegetonte
E’ il nome attribuito all’anticiclone africano che ci tormenta.
Stiamo dando fondo a tutto il lessico infernale.
Quando avremo finito i nomi, col cambiamento climatico, sarà l’inferno.
Quello vero.
In terra.
Per assuefarci a quello che ci attende dopo.
Quello eterno.
Distruggere la terra è una colpa che neppure il Dio dell’amore ci potrà perdonare.
Guido Tampieri

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