Il massese Roberto Valenti missionario in Papuasia

Riceviamo da Armanda Capucci e pubblichiamo


Di Roberto Valenti non si hanno più notizie dal Natale ultimo scorso, ma non è la prima volta e si sperava di risentirlo nel corso della ricorrenza pasquale. 



In un mondo che sembra andare sempre più verso la catastrofe, non fa notizia chi si occupa silenziosamente del bene del prossimo, mettendo in pericolo la propria vita, lontano dalle persone care e dagli amici, rinunciando a ciò che molti cercano oggi: la ricchezza, la tranquillità, il benessere. 


E’ la vita di fra’ Roberto Valenti, massese, missionario laico del PIME, trapiantato, se così si può dire, a Watuluma, una sperduta isola della Papuasia, all’altro capo del globo: senza collegamenti con il resto del mondo se non dopo aver percorso centinaia di miglia in barca, in un Oceano che sempre “Pacifico” non è, con la barriera corallina di mezzo, per raggiungere l’isola più vicina. Quando, nell’ aprile 2014, dopo un periodo di lontananza durato alcuni anni, finalmente, Roberto era ritornato a casa, anche in seguito alla morte del padre, contava di poterrimanere in famiglia almeno un anno. 


Purtroppo, però, altre risorse umane per quelle terre lontane non erano disponibili e gli era stato chiesto dai superiori un ritorno anticipato rispetto al previsto. Così, ai primi del 2015, eccolo di ritorno alla sua missione (dove ha trovato quasi tutto da rifare) e, per molto tempo, non si sono avute sue notizie. E’ vero che, prima di partire per la Papuasia, aveva rassicurato parenti ed amici pregandoli di non preoccuparsi perché la comunicazione non è mai stata facile, ma si può ben comprendere la loro ansia, giorno dopo giorno, mese dopo mese. 


Poi, a Natale il tanto atteso collegamento. Di nuovo, oggi, l’attesa sta diventando spasmodica, e si spera che, presto, dalla sua lontanissima isola, Roberto riesca a ristabilire i contatti raggiungendo, dopo giorni di oceano, la “vicina” isola di Alotau; altro non può fare perché, da tempo, da quelle parti, èstato sabotato il trasmettitore telefonico, peraltro mai riparato. A Natale, quando finalmente si ebbero sue notizie, raccontava che, al suo rientro, aveva trovato molte cose da fare ma, poi, poco a poco,la situazione, anche grazie alla sua esperienza, si era stabilizzata.


“Purtroppo, la ripresa alla scuola, quest’anno, non è stata facile e vi confesso che è stata più dura di quanto m’aspettassi, perché la molteplice alternanza di persone nella sua direzione, avvenuta in mia assenza, ha portato come conseguenze un certo stato d’abbandono in diversi settori ed anche un sentimento d’incertezza e di scoraggiamento sia tra il personale che tra gli studenti. 


La casa in cui vivevo è stata abbandonata per mesi e quindi l’ho ritrovata abbastanza sporca e depauperata delle cose essenziali, anche di quelle personali che avevo riposto nella mia camera e che il mio successore aveva distribuito o trasferito altrove, pensando, a suo modo, che io non facessi più ritorno in Papua ed ho dovuto così, a poco a poco, recuperare qua e là ciò che era rimasto”. 


Insomma, il giovane missionario aveva dovuto ripulire il suo alloggio e riprendere faticosamente le redini della scuola dove gli insegnanti inviati dal governo lavoravano di malavoglia. 


Oggi, di nuovo, il silenzio, e sono trascorsi, ormai, altri quattro mesi. Una cosa è certa: Roberto Valenti che, da circa 15 anni, vive sull’isola di Goodenough, a Watuluma, una delle centinaia dell’arcipelago di Papua Nuova Guinea, ama profondamente la sua isola e la sua gente ed assieme a pochi altri missionari vive per aiutare quelle popolazioni, a migliorare “sia la loro vita spirituale che quella materiale”. 

Durante il suo soggiorno a casa, aveva presentato con realismo il complesso mondo in cui vive ed opera: dalleincantevoli immagini di quelle terre e di quei mari lontani, non si può che rimanere meravigliati ma, in una natura lasciata quasi intatta dall’uomo, si scopre un’umanità che vive ancora in condizioni talvolta primordiali. “Le comodità da cui noi siamo circondati qui in Italia, là sono un sogno pressoché proibito”. Nel 2010-2011, fra gli altri progetti, si era realizzato nella missione di Watuluma e nei villaggi limitrofi, fra mille difficoltà, il “Progetto acqua”. Le sorgenti di acqua limpida e pura, da quelle parti, sonomolto lontane, sui monti. 

Dunque, “grazie alle offerte pervenute anche dalle comunità di Massa e Fruges ed all’impegno di un gruppo di persone volonterose ed esperte giunte dall’Italia, è stato costruito un acquedotto con un serbatoio di 100 mc. Finalmente, gli edifici della missione, scuole ed ospedale, costruiti nei trent’anni della nostra presenza nell’isola, possono usufruire di acqua corrente e pulita, acqua che arriva anche alle fontanelle dei vari villaggi attraversati dalle tubature dell’acquedotto, benché sia sempre inferiore ai bisogni: una grande conquista, ma moltissimo resta ancora da fare”. 

Ecco: queste e tante altre interessanti informazioni su un’esperienza unica, resa ancor più preziosa dalla modestia di chi ha avuto il coraggio di viverla a costo di grandi rinunce e correndo gravissimi rischi, erano scaturite nel corso di un coinvolgente incontro del giovane missionario con la comunità parrocchiale massese, prima della partenza. Ora aspettiamo nuove e più consolanti notizie.


Armanda Capucci

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