Sant’Agata, 75 anni fa

Tempo di guerra: fame, freddo, malattie
di Armanda Capucci



25 aprile 2020 : per la prima volta non è stato un giorno di festa dopo 75 anni, a causa del “nemico invisibile”, il “Corona virus”, in questa terza guerra mondiale che ha coinvolto tutto il mondo.

E anche quel primo 25 aprile 1945, non fu un vero e proprio giorno di festa, benché di profondo sollievo, quasi di incredulità per quel silenzio che era seguito al fragore degli scoppi e dei bombardamenti ai quali ci si era abituati ormai da tempo. E i rifugi antiaerei? Chi aveva il coraggio di smantellarli? Si temeva di nuovo il ritorno dei Tedeschi. Ma la guerra era veramente finita?


Molti ancora non ci credevano.

Insomma, ci si doveva riabituare a vivere, ad elaborare i lutti, a “ritrovare” la propria casa e perfino a recuperare la salute. Troppe erano state le privazioni, specialmente negli ultimi due anni di guerra nei quali la miseria e la fame, assieme alla pioggia di granate ed ai cannoneggiamenti, erano all’ordine del giorno. 

Si mangiava pane nero e secco, con
acqua, si andava a fare la misera spesa con le tessere annonarie, ma spesso mancavano i beni di prima necessità: il poco zucchero era grezzo, il caffè era una miscela d’orzo maleodorante, scarsa la farina che serviva a fare la minestra con l’acqua al posto delle uova ed ancor più scarsa la carne che si poteva recuperare soltanto quando in paese si spargeva la voce che al macello avevano portato una mucca requisita chissà dove e tutti accorrevano.

 Non tutti in verità, perché chi non aveva messo da parte qualche risparmio pativa veramente la fame, benché la solidarietà fra residenti e sfollati fosse grande. 

In via Angiolina, nelle case Capucci e Cristoferi c’erano le cucine per i soldati
tedeschi: i cuochi dovevano preparare il rancio per coloro che combattevano al fronte, ancora al di là del fiume Senio e le carrette con i rifornimenti partivano di notte per non farsi individuare e ritornavano all’alba. 

Ogni giorno, arrivavano numerosi sacchi di patate che gli abitanti della casa erano obbligati a sbucciare, ma a loro non dispiaceva del tutto perché ne approfittavano per rubarne qualcuna e per tagliare la buccia molto grossa che poi cuocevano nell’acqua, quasi sempre senza sale, per ricavarne un po’ di polpa. Qualche volta arrivavano anche sacchi di galline: spettava alle donne pelarle e “conciarle” e con le interiora e le teste che venivano tagliate via, si faceva un po’ di
brodo e qualche “lauto” pranzetto. Ai bambini venivano date le “cervelline”, le crestine e i bargigli.


Roba da leccarsi i baffi! Si viveva un po’ meglio in campagna, dove qualche animale era rimasto, non ancora requisito dai Tedeschi e dove si poteva trovare qualche ortaggio. Nella bella stagione, non era raro vedere ogni giorno tante donne chinate per i campi e lungo il ciglio dei fossi in cerca di rucola e radicchi selvatici.

 Ma l’inverno del 1944-45 fu davvero lungo e freddissimo con pioggia e
neve anche a Natale. Non c’era il riscaldamento, la legna scarseggiava e ci si riparava alla meglio dal freddo con vecchi indumenti di lana, sovrapposti, rattoppati e logori e nei letti gelidi con le coperte militari; i Tedeschi, anch’essi infreddoliti giravano per casa e si scaldavano con bicchieri di vino e grappa.

 Così, la malnutrizione e l’umidità delle abitazioni e dei rifugi favorivano l’insorgere
di tante malattie, soprattutto quelle polmonari, tosse, pleurite, bronchite e polmonite che spesso portava alla morte.

Non parliamo, poi, delle malattie della pelle causate da pulci e pidocchi. Le cure
erano scarse o inesistenti anche perché, come ben sappiamo, a quel tempo non erano ancora comparsi gli antibiotici. A S. Agata c’era il medico condotto, il dottor Arduino Lenaz italiano di origine germanica: fu lui a stilare i numerosi atti di morte fra i quali quelli della povera famiglia del macellaio Romolo Cruari, sterminata nel sonno da una bomba sganciata da “Pippo”, l’aereo alleato che sorvolava di notte le linee nemiche, e quelli della famiglia Emaldi misteriosamente “giustiziata”.

 Era un medico molto stimato, che si adoperava come poteva, con molti consigli e con i rari medicinali a disposizione; una delle cure più frequenti, dai tempi dei tempi, per chi aveva la febbre e la tosse era quel bollente e fastidioso cataplasma di semi di lino che veniva posato sul petto del malato. Dovevano passare giorni e giorni per guarire.

In via Belfiore, poi, c’era un giovane medico privato, Luigi Ravaglia che prestava la sua preziosa opera di volontario, curava i malati e soccorreva i feriti dopo le incursioni aeree ed aveva disegnato sul tetto della propria abitazione il simbolo della Croce Rossa. Ma, ad onore del vero, erano disponibili e gentili verso la popolazione civile, anche gli ufficiali medici tedeschi.

 Quando, poi, la malattia era molto grave il malato veniva trasportato all’ospedale di Massa Lombarda dove il bravo e burbero dott. Babini, medico chirurgo, operava e si adoperava in mille modi ad intervenire anche come ostetrico.

 E, all’Ospedale di Massa furono trasportati con un camioncino trasformato in rudimentale ambulanza della Croce Rossa quasi tutti i feriti ed i moribondi degli ultimi tre giorni dell’offensiva finale.

 I due volontari che mettevano a repentaglio la propria vita per amore dei loro concittadini erano Michele Gianstefani ed Eguinaldo Zardi, gli stessi che nei mesi precedenti avevano percorso la via San Vitale, sotto le bombe, fino a Bologna ai Monopoli, con una strana macchina trasformata in camioncino, per fare rifornimento e procurare il sale e altre derrate alla comunità. A S. Agata c’era anche una farmacia gestita dalla dottoressa Nina Vistoli, coadiuvata da Jole Arcangeletti, futura farmacista del dopoguerra; la donna, purtroppo, dopo il 25 aprile fu rapata a zero dai partigiani perché implicata con il Partito Fascista e costretta a fuggire dal paese.

 Con queste premesse e questo clima, il 25 aprile 1945 trascorse fra gioia e dolore, fra speranza e paura, quella paura che regnava sovrana ormai da anni nel cuore della  gente ed avrebbe lasciato i suoi segni indelebili per sempre.

Ma nel corso di un anno appena, il paese, come tutti gli altri, si trasformò radicalmente e l’ostinata forza della vita prevalse; assieme alla memoria del passato, si unì l’euforia del presente con il bisogno profondo di risollevarsi e di rinascere finalmente in un futuro di pace

Armanda Capucci

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