A cent’anni dalla nascita di Charlie Parker
Venti giorni dopo
che ebbe telefonato al signor Evaristo Cioffi, un pensionato di Affori, il
procaccia postale gli consegnò un lungo pacco, confezionato con perizia e
pazienza.
Pagò in contrassegno £ 380.000 e si chiuse nello studio col cuore in
aritmia. Entro pochi secondi avrebbe tenuto fra le mani un sassofono!
Febbrilmente cercava di sciogliere i nodi del robusto spago che legava a croce
e per le diagonali il pacco dalla perfetta forma di parallelepipedo smussata negli
angoli.
Aveva sempre avuto la mania di sciogliere i nodi e di conservare ogni
laccio o nastro o semplice cordone; forse gli proveniva dalla parsimonia di una
vecchia zia per la quale tutto o prima o poi tornava utile.
Ma l’ultimo nodo
era troppo stretto, e, furibondo, ricorse al coltello. Stracciò l’involucro di
carta grossa tirando con forza la larga striscia di carta gommata sollevata a
fatica con l’unghia, fece volare il coperchio dello scatolone e finalmente
intravide, fra centinaia di cubetti di polistirolo, un giallo Selmer 1949, come
con precisione recitava l’annuncio del Cioffi, da lui letto nella pagina
«Compro-vendo» della «Parola», periodico padano dalla vita brevissima.
Andava matto per
il suono del sassofono, ma nulla capiva di strumenti musicali. Gli sembrava
magnifico, perfetto. Mentalmente disse un commosso grazie al Cioffi, e
s’infilò il collare di pelle che terminava con una chiavetta dorata a molla. Vi
attaccò il sax e si sentì uno sborrone, e subito dopo un ridicolo, povero
‘pataca’.
Non aveva mai studiato musica, non conosceva una sola nota. Era un
tranquillo maestro di scuola elementare, viveva con sua madre già avanti negli
anni, piena d’ acciacchi; molte letture di romanzi dell’Ottocento, aveva letto
sei volteIl conte di Montecristo,
quattro volteI miserabili e treDelitto e castigo, qualche film d’essai
nel piccolo cinema parrocchiale, un vecchio legame sentimentale con una collega
fatto di assenza e di silenzi.
Se ne stava in
piedi al centro dello studio, col sax che gli pendeva sul ventre. Era solo in
casa, la madre era dalla vecchia del piano di sopra a lavorare a maglia, ma
ugualmente lo assalì il terrore di essere spiato e di nuovo s’impadronì di lui
la sgradevole sensazione di essere ridicolo.
Il maestro Valeriani gira per casa
con un sassofono al collo e fa il disinvolto!
Se lo sfilò
infastidito e si sedette sul sofà col sax di traverso sulle gambe, bello,
tentatore nella sua sinuosità. Premeva tasti qua e là e si aprivano i fori
misteriosi di quel serpente di ottone, bisognoso d’aria per vivere, come le
piante, gli animali e gli uomini.
Era un sax
contralto. Decise di renderlo ancora più splendente e si mise a fregarlo
accanitamente, metodicamente, col panno che sua madre usava per l’argenteria,
iniziando dalla campana e salendo per il fitto intrico dei tasti.
Era uno di
quei tetri pomeriggi di novembre nei quali non si può fare altro che lucidare
sassofoni. E lui lucidava il suo con un impegno amorevole che ne faceva
brillare ogni millimetro quadrato.
Dopo due ore lo
sollevò in alto come si fa coi bambini e sorrise al sax contralto Henri Selmer
n. 14257. Riflettendo la debole luce della lampada da tavolo, lo strumento la
irradiava per tutto lo studio. Lui lo muoveva e gli effetti luminosi lo
rapivano.
Ora doveva pulire
l’imboccatura di legno nero che appariva velata da una patina grigiastra. La
sfilò girandola un po’ a destra e un po’ a sinistra per rimuoverla e la posò
sulla scrivania, sotto la lampada; poi, con un batuffolo di cotone imbevuto di
alcol, cominciò a nettare il piccolo cono, dalla troncatura lentamente fino
alla base. Il cotone si anneriva e il bocchino assumeva la lucentezza
dell’ebano.
Per ultima lasciò la parte anelliforme che va spinta entro il tubo
d’ottone. La sfregò circolarmente un paio di volte, gettò il batuffolo nero nel
cestino della carta e, soddisfatto, contemplò di nuovo il sax, tenendo
l’imboccatura nella mano sinistra. Ora doveva reinfilarla e ridare completezza
allo strumento. Se lo mise fra le gambe e quasi svenne..
Ammiccò e strabuzzò
gli occhi, mentre l’improvvisa accelerazione dei battiti del cuore gli
affannava il respiro: sulla parte terminale ad anello che andava infilata nel
sax apparivano abrase dall’uso quattro lettere che formavano
Realizzò la storia
di quel sassofono, forte di quanto gli aveva detto il Cioffi per telefono.
L’aveva comprato nel
sua banda.
Su consiglio di un clarinettista di Bordeaux, che aveva definito il
suo sassofono «vraiment catarrheux», il Cioffi aveva fatto in tempo a correre
in un negozietto del 17° arrondissement e per ventimila vecchi franchi s’era
portato a casa quel contralto.
A Parigi, nel
1950, si era tenuto il Salon du Jazz e uno dei mostri era Charlie Parker,
l’Uccello. Era l’idolo indiscusso di Valeriani che, fra i primi in Italia, era
riuscito a procurarsi il celeberrimo «Bird on the coast», divenuto cavernoso
per l’incisione di migliaia di puntine e messo in cornice dorata su velluto
rosso.
Era la sua giovinezza appesa al muro. Parker aveva
suonato, la prima sera, al di sotto delle sue strabilianti facoltà, distratto,
e la seconda sera aveva fatto di peggio. Suonò per dieci minuti in modo
strepitoso, poi sparì e nessuno lo vide per due giorni. Certamente era andato
per eroina, whisky e puttane. Tornò prima che il pullman partisse per Orly,
senza il sax, donatogli un anno prima da undici ammiratori parigini.
Adesso Valeriani
lo teneva fra le mani! Ne era tanto sicuro che si sarebbe giocata la vita a scommettere
che era andata così. Sentiva di avere come la febbre e i polpastrelli, toccando
i tasti, ardevano.
Ancora oggi non sa bene come andò; non ricorda i movimenti
che fece, la sequenza dei gesti, perché tutto avvenne misteriosamente in pochi
attimi. Un ronzio nelle orecchie, questo sì, mentre portava con estrema
naturalezza il sax alle labbra.
Suonò un incredibileLover man, così lancinante e allucinato che lo lasciò
stremato per ore e da anni lo turba. Non ha più toccato il contralto, che se ne
sta appeso alla parete accanto al disco, affascinante e spaventevole.
Il maestro
Valeriani non crede alla metempsicosi, ma da quel giorno, ogni volta che entra
nello studio, guarda il sax e lo saluta «Hello, Bird!» e spera di risentirsi
febbricitante e col formicolio ai polpastrelli delle mani.
L’altro giorno gli
è parso di vederlo seduto sul sofà, tutto in bianco: pantaloni, camicia,
scarpe, calzini, giacca, un ampio panama in testa. Solo un fiocco rosso alla
Piccolo Lord Fauntleroy. Forse Bird gli ha strizzato l’occhio e il maestro
aspetta di sentirsi strano.
In memoria di Charlie Parker
(Kansas
City 29 agosto 1920
–
New York 12 marzo 1955)
Marcello Savini