Il calcio giovanile
dovrebbe essere educativo e formativo, chi vede
campioni a undici anni è miope
di Daniele Baldini
Una
domenica mattina, un campetto da calcio, una palla, due squadre di
ragazzini, genitori a bordo campo che fanno il tifo, molto spesso
esagerando e con frasi che andrebbero censurate, e gli allenatori che
in alcuni casi pensano di essere in una finale di Champions League,
questa è la fotografia tra “luci e ombre” del baby calcio,
pulcini a cui, di sovente, fanno credere di essere aquile e che
quando si risvegliano accorgendosi di non avere le ali per volare
sopra le nuvole la delusione è immensa.
La storia, che potrebbe
essere trasformata in un “reality” televisivo, inizia con
l’ingresso sul campetto delle squadre, la prima spocchiosa, sicura di
se, con divise da fare invidia ai migliori club e seguita dai
football trainer che nel dare le indicazioni ai mini campioni
traspirano un atteggiamento quasi di sufficienza, certi di “vincere
facile” una pratica matematica più che una partita; poi
l’ingresso della seconda formazione, più timida o meglio più umana,
un papà simpaticamente e con il sorriso li ha definiti, nel senso
più dolce del termine, “trovatelli”, con divise da
allenamento, addirittura senza numero, seguiti da un bravissimo
allenatore, conoscitore del mondo del pallone, che sa dispensare
giusti consigli in una compostezza ammirevole.
La partita, non va come
previsto dai talent scout del pallone e termina con un giusto
pareggio (2-2) grazie ad una parata “sensazionale” quasi al
termine del secondo tempo. Un gesto atletico, istintivo che libera
paure e tensioni, del portierino, in un urlo di felicità seguito
dall’applauso di tutto il pubblico presente. Un fulmine a ciel sereno
che mette in dubbio tante certezze, valutazioni e scelte
dell’allenatore degli avversari.
Rilevanti, dopo la
partita, le parole del piccolo portiere: “Avevo paura prima di
entrare in campo sapendo che gli altri sono molto forti, ma poi è
passata e su quel tiro ho chiuso gli occhi e mi sono tuffato….
sapevo che la palla andava li”. Parole sincere di un piccolo
“campioncino” che riflettono l’essere bambino, la
sincerità, la paura, il timore e la consapevolezza delle difficoltà
di una sfida ma contestualmente il coraggio di scendere in campo e
lottare per dimostrare che nulla è scontato nel gioco cosi come
nella vita.
Questo è ciò che il
calcio dei piccoli dovrebbe essere, una scuola e una palestra per
educare e formare gli adulti del futuro rendendoli capaci di
affrontare le difficoltà che la vita riserverà.
Daniele Baldini