Riceviamo da Armanda Capucci e volentieri pubblichiamo

 

Laura Garotti 


 

Fin
dal 2001, a S. Agata nella zona oltre fiume, all’angolo di Via
Lunga Superiore, si trova un “ Largo” intitolato a “ L.
Garotti”. Furono i soci del Centro Commerciale Idrosan che faceva
capo a Floriano Garotti, nel settembre 2000, nel corso della
lottizzazione dell’area, a donarlo già sistemato a proprie spese,
al Comune di S. Agata con la richiesta che quella porzione di
territorio venisse intitolata a Laura indimenticabile sorella di
Floriano. Molti, in questi anni, si sono chiesti chi fosse il
personaggio indicato nel cartello stradale col solo cognome. Infatti
mancava il nome “Laura”. Ora, anche su richiesta del signor
Floriano Garotti, nel cartello apparirà un’integrazione molto
eloquente con l’aggiunta di due parole: “staffetta partigiana”.
La giunta comunale approverà la variazione a giorni.

 

 Perché tanto
affetto e tanta insistenza da parte della famiglia? Perché la storia
di Laura è una storia particolare. Nata a Filo d’Argenta (Fe) il
22 ottobre 1922, morì il 10 gennaio 1945, alla giovane età di 22
anni, quasi alle soglie della Liberazione, a Lugo in via Sammartina
n. 6, nel Podere degli Ospedali Riuniti. Era una ragazza contadina
“con una gran voglia di vivere ed un gran senso del dovere”,
tanto che dopo l’8 settembre 1943 fece una scelta coraggiosa e
difficile, quella di schierarsi ed operare clandestinamente a fianco
delle formazioni partigiane. Uno dei suoi compiti era quello di
comunicare ai diversi gruppi l’andamento della guerra, portare i
volantini antifascismo e smistare armi di piccolo taglio che
nascondeva in un sacco di iuta pieno di paglia portato in spalla.
Durante le missioni, il suo mezzo di trasporto era la bicicletta. A
volte i Tedeschi la fermavano e la schernivano, ma lei “con il suo
spirito forte e coraggioso proseguiva imperterrita” verso la meta.
Ogni giorno doveva prendersi cura di una decina e forse più di
partigiani imboscati lungo la riva del Canale Mulino Figna che
confinava con il podere della sua famiglia dove viveva con i
genitori, mezzadri, e cinque fratelli; di sera, poi, permetteva ai
clandestini di dormire in cascina o nella stalla, dove teneva sempre
il forno acceso per cuocere il pane ed i cibi per sfamarli. Più
volte, ospitò i gruppi del Comitato di Liberazione Nazionale dei
quali facevano parte Il capo partigiano Bulow (Arrigo Boldrini) ed il
futuro onorevole Benigno Zaccagnini. Il 10 gennaio 1945, rientrata da
una missione, verso le 16 e 30, stanca e infreddolita, si era
avvicinata alla stufa della cucina per riscaldarsi. Ad un tratto, un
aereo alleato sganciò una bomba che cadde a qualche decina di metri
dall’abitazione. La casa era protetta da tronchi di legno legati
alle inferriate delle finestre ma questo non bastò a contrastare
l’amaro destino di Laura: al momento dell’esplosione, una
scheggia infuocata schizzò fra due tronchi e in un attimo la
raggiunse al collo perforandole una vena. I familiari disperati
fecero il possibile per arrestare il sangue che sgorgava copioso
dalla ferita, ma invano e, all’imbrunire, per un altro strano
scherzo del destino, fu un maresciallo tedesco, “un nemico”, a
trasportarla su una carretta all’Ospedale civile di Lugo, dove
purtroppo spirò qualche ora dopo, lontana dai suoi cari. Aveva
sacrificato la sua giovinezza per la libertà, mettendo in serio
pericolo la propria vita e quella della sua famiglia, e non fece
nemmeno in tempo ad assaporarla. L’abitazione di Laura, in via
Sammartina n. 6, è ricordata nella carta geografica e con
fotografie presso il Museo del Senio ad Alfonsine e in una lapide del
1945 nel Giardino Pensile della Rocca di Lugo.
(Armanda
Capucci)

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