CENTO ANNI FA IN AMERICA

Joe Biden e Il massacro degli afroamericani a Tulsa 

di TIZIANO  CONTI

In Oklahoma il 31 maggio 1921, una folla inferocita di bianchi uccise centinaia di afroamericani e distrusse un intero quartiere, dove il tenore di vita era particolarmente alto. Si chiamava Greenwood e ci vivevano più di diecimila persone afroamericane che gestivano e frequentavano fiorenti attività commerciali, un fatto anomalo per gli Stati Uniti di quell’epoca.

Nell’arco di un solo giorno di cento anni fa, la prosperità che la comunità di Greenwood era riuscita a costruirsi fu distrutta in un episodio rimasto per decenni ignorato dalla memoria collettiva statunitense, e riscoperto solo di recente anche grazie alle testimonianze e a una commissione statale. Quello che oggi è noto come “massacro di Tulsa” ebbe come causa scatenante in un confuso episodio avvenuto il 30 maggio tra un diciannovenne nero di professione lustrascarpe, Dick Rowland e una diciassettenne bianca che faceva l’operatrice di un ascensore, Sarah Page.

La mattina del 31 maggio un giornale locale scrisse che “un negro aveva aggredito una ragazza” e in un editoriale incitò la popolazione bianca a linciarlo. I linciaggi di persone nere da parte dei bianchi erano relativamente frequenti all’epoca, perché le leggi segregazioniste garantivano ai bianchi indulgenza e impunità. Rowland fu quindi arrestato, nonostante Page non avesse denunciato alcun tipo di aggressione.

La sera del 31 maggio una folla di uomini bianchi armati si radunò davanti alla prigione dove era rinchiuso Rowland, per linciarlo. Poco dopo arrivò un gruppo di uomini afroamericani, anche loro armati, per difenderlo. La situazione degenerò in fretta.

Secondo le ricostruzioni più affidabili morirono tra le 100 e le 300 persone mentre i feriti furono centinaia. I cadaveri furono impilati agli angoli delle strade, trasportati fuori dalla città su camion di proprietà del comune, bruciati in inceneritori, scaricati in un fiume o ammassati in fosse comuni. Circa 1.470 case furono incendiate e 35 isolati furono praticamente rasi al suolo. Seimila persone furono imprigionate e quasi tutti gli abitanti del quartiere rimasero senza dimora.

Quando tutto finì, l’opinione pubblica accettò la ricostruzione proposta dalle autorità locali secondo cui a Greenwood i neri si erano ribellati contro i bianchi causando dei disordini.

Solo lo scorso anno il dipartimento statale dell’istruzione ha detto di voler inserire il massacro nei programmi di storia delle scuole. I sopravvissuti al massacro sono tre, tutti ultracentenari. Di recente sono stati ascoltati da una commissione del Congresso sui fatti di Tulsa, che sta indagando sull’opportunità di concedere un risarcimento ai discendenti delle vittime. Viola Ford Fletcher, che ha 107 anni, ha detto di ricordarsi ancora gli spari indiscriminati sulla gente di Greenwood, le urla e l’odore di fumo.

“Oggi la minaccia più letale per il paese è il suprematismo bianco”: lo ha detto Joe Biden commemorando a Tulsa i 100 anni del massacro. “L’odio non è mai sconfitto, si nasconde soltanto”, ha aggiunto. “Sono il primo presidente in 100 anni venuto qui per riconosce la verità di quello che è successo a Tulsa, siamo qui per fare luce e assicurarci che l’America sappia la storia per intero”.

Biden ha poi illustrato poi le misure della sua amministrazione per colmare il gap di ricchezza tra afroamericani e bianchi e ha difeso il diritto di voto, “il più fondamentale dei diritti” e ora “sotto attacco come non ho mai visto prima”.

La storia cammina a piccoli passi, ma lascia tracce indelebili.

Tiziano Conti

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