“Avvocato di difesa” è una serie di dieci puntate su Netflix, appassionante, che porta dentro i meccanismi di un processo americano. Il titolo italiano non rende pienamente merito rispetto a quello americano “The Lincoln Lawyer”, l’avvocato della Lincoln: le riflessioni fondamentali sulla sua attività il protagonista le svolge in auto piuttosto che in un più classico e stabile ufficio, accompagnato dalla sua autista, una simpatica ragazza a cui ha evitato la galera.
E’ stato ideato dallo sceneggiatore produttore David E. Kelley, autore anche dell’ottimo “Anatomia di uno scandalo” (sempre su Netflix, ambientato nel mondo politico inglese), adattando il romanzo di Michael Connelly, edito da Piemme.
L’intrigo processuale è di ottima stoffa, ben scritto: dopo i primi 10 episodi ci saranno altre stagioni, dato che i peccati mortali in agguato non sono pochi. È riuscito il personaggio principale, l’avvocato Mickey Haller che, uscito da una dipendenza e da molti casi di piccoli criminali, ha visto tutti i mali di Los Angeles ed ha scelto di lavorare sul sedile posteriore della sua Lincoln, che sulla targa porta la scritta “Non colpevole”.
E’ accattivante, simpatico, furbescamente intento a tessere sempre nuove trame per vincere in tribunale. Lo recita Manuel Garcia Rulfo con quel disincanto che ricorda i classici thriller anni 70 del detective Harper di Paul Newman o il Philip Marlowe di Robert Mitchum.
I fatti? Complicati. All’inizio della storia un avvocato viene ucciso a sangue freddo in un parcheggio e tutte le sue cause sospese passano al nostro Mickey Haller: come e perché lo capiremo alla fine. In particolare si tratta di difendere un ricco produttore di quei giochi che su computer e telefonini fanno impazzire i ragazzi, dall’accusa di aver ucciso la moglie e il suo amante.
È tutto più complicato di così e accompagnato da altri eventi luttuosi, morti ambigue, avvertimenti, donne molestate, mentre lo staff di Haller comprende la sua seconda ex moglie (simpaticissima) e un assistente non convenzionale, fidanzato con lei. Bisogna anche specificare che Mickey ha anche una prima ex moglie in funzione sentimentale ancora attiva (una brava Neve Campbell) con una figlia adolescente e tutto questo ci porta dentro anche alla vita della sua famiglia, un po’ particolare.
Ma la parte bella del racconto è proprio quella processuale, il giudice che si confronta con i due avvocati, accusa e difesa, la giuria, i testimoni.
Un aspetto particolare, che noi italiani non conosciamo nel nostro ordinamento giudiziario, è quello della composizione della giuria di un processo, come si sceglie e come gli avvocati possono ricusarne alcuni membri, ed è interessante vedere il procedimento e i segreti di ufficio, con una precisione burocratica inedita in altri film.
Insomma, Perry Mason non ce l’aveva mai raccontato, ed è anche alla fine una delle chiavi di soluzione della storia che affoga nell’amoralità diffusa in una Los Angeles dipinta in modi impressionisti, assolata ma non troppo, meno banale della sua media cinematografica.
Molte sorprese nella parte finale, ma è chiaro dall’ultima sequenza, l’ultimo frame, che i guai per l’avvocato delle Lincoln non sono finiti: una seconda stagione ci aspetta.
La simpatia che viene spontanea per Mickey Haller e per il suo mondo ci fa sperare che i nuovi episodi arrivino presto.
Tiziano Conti