Workers buy out: in cooperativa contro la crisi

Salvano il proprio posto di lavoro da soli. Lo fanno con i soldi dell’indennità di disoccupazione o con la liquidazione del Tfr che chiedono in anticipo e che poi utilizzano per sottoscrivere le quote del capitale della cooperativa di cui diventano proprietari. E così salvano anche l’attività dell’impresa. Capita, e sempre più spesso a causa della pandemia e della guerra, che un’attività entri in crisi e che gli strumenti ordinari e straordinari – dalla ricapitalizzazione alla cassa integrazione – risultino insufficienti.

Perché ogni impresa che chiude è una sconfitta. Per chi come l’imprenditore che l’ha creata che vede andare in fumo sogni, speranze, ambizioni. Per il territorio che vede spegnere una fonte di vita economica e sociale. Per i lavoratori che perdono la speranza nel futuro. Per il sistema economico che vede mortificare professionalità, competenze che potrebbero invece continuare a generare benessere. Una sconfitta per tutti.

Negli ultimi 35 anni in Italia sono nate 320 impese recuperate da lavoratori, workers buy out, che rischiavano il licenziamento per cessata attività. Imprese rigenerate che hanno permesso di salvare non solo posti di lavoro ma anche la cultura del saper fare di cui anche l’occupazione è espressione. Quel saper fare costruito giorno dopo giorno, formalizzando l’intuizione, continuando a generare cultura del lavoro e il rispetto della dignità di chi, con ruoli diversi, di quella cultura è promotore e protagonista.

Nella quasi totalità dei casi, le imprese recuperate hanno assunto la forma della cooperativa.

Nei workers buy out ritroviamo le fondamenta della solidarietà e del mutualismo, del fare impresa avendo come bussola il bisogno e dove il profitto è mezzo e non fine. Ma ritroviamo anche il coraggio di ripartire, di rischiare, di credere nelle proprie capacità e di poter contare su quelle di chi con noi condivide la stessa sfida. Di continuare a coltivare, nonostante tutto, la speranza per una vita piena di dignità.

Dopo due anni di pandemia e una guerra che mostra ogni giorno le mostruosità di cui l’uomo è capace, sentiamo il bisogno di volgere lo sguardo a favore di chi rischiando tutto e nonostante tutto ha avuto il coraggio di investire sul futuro, grazie al suo talento, al suo impegno e al suo coraggio.

Molte delle cooperative italiane dei workers buy out sono nate in Romagna: un motivo c’è e, come spesso accade, sono le persone a far la differenza.

Denis Merloni, scomparso nel 2018 dopo una lunga malattia: già assessore al Lavoro della provincia di Forlì – Cesena ed ex segretario regionale della Uil. Accanto a lui, a dare la spinta a questa modalità imprenditoriale, i funzionari dell’Alleanza delle Cooperative, in particolare Pierpaolo Baroni di Confcooperative.

Grazie alla loro tenacia, negli ultimi dieci anni in Romagna sono state costituite 45 cooperativa da workers buy out, coinvolgendo 800 persone che hanno visto continuare la loro attività lavorativa e la loro fonte di reddito.

Diventare imprenditore di se stessi!

Tiziano Conti

Nella foto Happiness Group soc. coop., l’ultima workers buy out nata in Romagna, a Rimini

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