Tra astensione e populismi

L’area di chi non va a votare continua a crescere e in molte democrazie europee sta diventando sempre di più il maggior partito. Inoltre, lo scontento, la polemica, l’indignazione e persino la rabbia di tanti elettori si esprime, contemporaneamente, in voti di protesta verso movimenti – a torto o a ragione – indicati come “populisti”.

Eppure basterebbe pochissimo per mettersi nei panni degli altri, perché le diseguaglianze crescenti sono visibili nei quartieri e nei territori e basta fare un giro per le periferie per capire quanta parte del Paese si senta tagliata fuori, messa ai margini e guardi con preoccupazione lo svilupparsi di situazioni che rendono il nostro futuro sempre più incerto. Dovremmo comprendere che solo mettendo i cittadini al centro del progetto, facendoli sentire protagonisti, si possono evitare derive antisistema.

In termini concreti, è sempre più urgente attivare processi sani di partecipazione e di cittadinanza attiva (un modo diverso per descrivere concetti di lunga tradizione in Italia, come popolarismo e sussidiarietà) che offrano opportunità di ricchezza di senso del vivere e di generatività (il desiderio di contribuire al miglioramento della società e un’assunzione di responsabilità personale verso il futuro).

I meccanismi per creare percorsi di “cittadinanza attiva” e dare risposta alle ansie dei cittadini esistono e vanno attivati con urgenza. Ne hanno bisogno quegli stessi enti intermedi e quelle associazioni che sono da tutti riconosciuti come rimedio contro le derive populiste, ma non possono vivere di rendita indefinitamente, se non si ravvivano le forme di rappresentanza.

Per esempio, la democrazia partecipata nel campo dell’energia si chiama “comunità energetica”, un modo di autoprodurre e consumare energia diffuso e, appunto, partecipato che permette riposte positive in termini di salute, clima, convenienza di prezzo e indipendenza energetica. La democrazia partecipata nel campo del welfare si chiama “co-progettazione e co-programmazione”, ovvero costruzione da parte delle amministrazioni assieme ai cittadini dei nuovi servizi della cura, partendo da bisogni e domande di chi vive il problema.

La democrazia partecipata nel mercato è il “risparmio e consumo responsabile” che oggi arrivano alle forme evolute del prosumerismo (dalla fusione dei termini produttore e consumatore), dove i cittadini creano i loro prodotti d’accordo con chi li produce.

All’orizzonte non c’è purtroppo nulla di buono. Della guerra e persino della pandemia non vediamo ancora la parola fine. E la situazione ambientale non può che continuare a peggiorare, se non cambiamo marcia.

Una società sana è quella dove i cittadini non si domandano cosa possa fare lo Stato per loro, ma cosa possano fare le persone per le proprie famiglie e per la propria comunità.

Ce lo ricordò John Fitzgerald Kennedy nel suo memorabile discorso di insediamento, quale 35° Presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio 1961 a Washington: “Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese. Miei concittadini del mondo, non chiedete che cosa l’America vuole fare per voi, ma che cosa insieme possiamo fare per la libertà dell’uomo”.

Le forze politiche che hanno a cuore il futuro comune, farebbero bene a capirlo facendo proprie le nuove forme di cittadinanza attiva, se vogliono avere e darci una prospettiva.

Ci sta a cuore un futuro per noi e le generazioni dei nostri figli e nipoti!

Tiziano Conti

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