Evitare che in Europa si rafforzi la posizione dei sovranisti

Unione Europea. È stata il sogno di noi giovani a partire dalla metà degli anni ’60, poi la speranza di un allargamento dei confini nazionali, che diventavano via via più ristretti, e l’assunzione di un vero assetto istituzionale, poi ancora la semplificazione dei rapporti reciproci fra gli Stati ed il conseguente aumento delle opportunità in tanti campi della vita sociale ed economica. Ma è un progetto rimasto ancora incompiuto sul piano della strategia politica complessiva, mancando ancora alcune componenti fondamentali. Dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione del comunismo europeo si sono create le condizioni per l’integrazione con quella parte di Europa autentica, che era rimasta per quasi mezzo secolo oltre la cortina di ferro: l’allargamento del consesso a 27 Paesi avrebbe dovuto costituire, quindi, il presupposto per la creazione di un grande Stato sovrannazionale, previlegiandolo alla pur necessaria politica del perfezionamento di meccanismi tecnici ed economici sul modello di un “consorzio di stati”.
E’ difficile che le fusioni avvengano a freddo; più difficili ancora quelle complesse che riguardano tanti aspetti della vita degli Stati, delle comunità e delle persone: quindi settant’anni possono rappresentare anche un tempo che sarebbe stato – in ogni caso – difficilmente comprimibile. Non ho alcuna intenzione di presentare critiche a buon mercato, anche perché il nostro livello di civiltà e di benessere non sarebbe allo stesso livello di quello di cui ora godiamo se non ci fossero state prima la CEE e ora la UE, con l’indispensabile suo braccio finanziario costituito dalla BCE: credo, invece, di dover esprimere il mio rammarico, che è certo anche di tanti di quei giovani di metà degli anni ‘60, per il fatto che nel tempo della vita di una generazione (l’equivalente del rinnovarsi di tre generazioni) non siamo riusciti a fare i necessari passi in avanti per essere un solo popolo europeo, rispettoso delle diverse genesi e storie nazionali, ma finalmente espressione univoca della prospettiva politica che deve essere generata e gestita da un Continente che ha svolto un ruolo determinante nella storia mondiale, sotto tutti gli aspetti caratteristici di una civiltà.
Ora ci si chiede quanto sarebbe stato importante il peso politico di un’Europa compatta e determinata: sul piano interno, adottando univoche strategie su fisco, fonti energetiche, difesa, flussi migratori e relazioni internazionali, come la CEE dei primi decenni lo era stata su quelle agricole, dei mercati e della concorrenza, della moneta unica, ed altri che sono sotto gli occhi di tutti; sul piano internazionale, poi, diventando un interlocutore con pari dignità nei confronti dei grandi schieramenti attuali e potenziali, con l’autorevolezza che è propria di chi ha pagato a caro prezzo la libertà riconquistata ed ha saputo poi creare condizioni di pace e di serena convivenza mai conosciute in precedenza. Oggi non si può dire che questa sia la realtà: peraltro, con la Brexit e la mancata approvazione della Costituzione Europea assumiamo un deficit che rischia di farci arretrare rispetto a posizioni che ritenevamo già acquisite. Particolarmente gravi entrambi i fatti, ma la mancanza di una Costituzione costringe l’Europa a presentarsi sullo scenario mondiale con diverse posizioni che devono essere ogni volta conciliate, quando possibile, a causa dei veti e delle necessarie unanimità sulle decisioni fondamentali, che sono assolutamente ingiustificate dal punto di vista del diritto e della realizzazione delle strategie di uno Stato sovrannazionale.
Veniamo alla situazione attuale. Siamo in presenza di uno sconvolgimento dello scenario internazionale che, purtroppo per tutti noi, non avrà carattere episodico ma è probabile che tenda a modificare la realtà in modo duraturo: quanto sta succedendo in Ucraina non è solo una guerra di conquista che, per l’aggressore, vuole ristabilire un presunto diritto su una parte di territorio dell’aggredito: in palio c’è molto di più! Ci sono la Russia e gran parte del continente asiatico che vogliono contrapporre ad un sistema basato sulla democrazia di tipo occidentale un altro diverso modello basato sulla creazione di un blocco antagonista dal punto di vista militare, politico ed economico. Un tempo, forse, ci sarebbero state condizioni politiche anche più favorevoli, ma lo scenario globale non lo consentiva: ora la Russia e la Cina hanno sviluppato una ricchezza economica e finanziaria e solide alleanze in molti stati che sono distribuiti un po’ ovunque, particolarmente in Africa, e ciò costituisce un possibile viatico all’affermazione del maldestro modello politico che è solo all’inizio del percorso e trova in sintonia fra di loro paesi dotati di armamenti nucleari ed in crescita demografica, tanto da potersi permettere (Dio non voglia) di schiacciare ogni resistenza al loro progetto. Solo a corollario, non si dimentichi che anche l’India, che si presenta come una democrazia a connotati mediamente solidi ed ancora assai influenzata dall’appartenenza al Commonwealth, è il secondo stato per popolazione mondiale e ha sviluppato pure tecnologie nucleari.
In tale situazione e con gli USA e la NATO che non hanno certamente brillato nelle strategie di questi ultimi decenni, forse pensando di mantenere per lungo tempo l’egemonia a livello internazionale, lo scenario si presenta complesso e incerto e ben si capisce come manchi un ruolo sul tipo di quello delineato nei paragrafi precedenti. All’Europa, infatti, non rimane che una sfilacciata funzione di cuscinetto, con livelli di sicurezza sempre più precari, vista l’arroganza della Russia, e ben lontana dall’essere quell’interlocutore con pari dignità, tenuto conto del livello della sua autorevolezza.
Per di più, all’interno dell’Europa, che continua con un assurdo criterio decisionale di unanimità sulle principali questioni, si manifestano sempre più consistenti le tentazioni isolazioniste e sovraniste, che nulla hanno in comune con l’idea di stato sovrannazionale che la stessa Europa deve rappresentare. Il riferimento va, in particolare, all’Ungheria di Orban e alla Polonia di Duda, ma non si deve trascurare l’influenza di Marianne Le Pen nel consenso elettorale francese ed i riferimenti storici che caratterizzano la linea politica del suo partito.
L’Italia è paese fondatore e fra il primo “gruppo dei sei” ha svolto sempre un ruolo fondamentale per la solidità dell’impianto dell’Unione e l’indirizzo di linea politica: il contributo determinante dell’Italia non è venuto solo da giganti della politica come De Gasperi, La Malfa, Marcora, nella prima fase, ma poi da Ciampi, da Prodi, da Draghi e dal compianto Sassoli. Tutti europeisti convinti che hanno fatto fronte comune con leaders di altri Paesi per imprimere al progetto tutta la forza al momento possibile, superando le resistenze delle formazioni che, pur doverosamente presenti nei consessi istituzionali, si sono spesso mosse con spirito di contrarietà e l’obiettivo di ridurre l’efficacia dei processi. Non è un caso che la nostra autorevolezza a Bruxelles abbia toccato punte di minima in corrispondenza dei Governi Berlusconi e Conte 1°, quando le politiche della destra hanno portato a posizioni più antagoniste che collaborative.
Occorre che l’espressione del voto degli italiani, il 25 settembre, tenga conto dei rischi che, oltre all’Italia, correrebbe anche l’Europa nel caso di una vittoria della destra sovranista, che andrebbe a rafforzare le posizioni degli Orban, Duda, Le Pen, interrompendo la posizione di convinta fedeltà al progetto europeo che viene da 70 anni di storia: il destino del nostro popolo è sempre più europeo e proprio per questo non lo possiamo lasciare in consegna a chi all’Europa non ha mai creduto, ma soprattutto, ne ha sempre combattuto il disegno. La pace e la concordia non corrono sui binari del nazionalismo e del sovranismo: diffidiamo dalle false imitazioni!

Raffaele Clò – Lugo


 

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