L’ex brigatista alla figlia di Moro: “Sbagliammo: non si può fare del bene attraverso il male”

In questi giorni sono uscite sulla stampa diverse notizie che riguardano i componenti delle allora Brigate Rosse. A quasi 45 anni dall’uccisione di Aldo Moro, l’uomo che dichiarò di esserne stato l’esecutore materiale, Mario Moretti, dall’inizio dell’anno svolge attività di volontariato per un’associazione bresciana in modalità smart working e per due giorni alla settimana può recarsi negli uffici di una RSA.

La procura di Torino, invece, sta indagando Renato Curcio, uno dei fondatori delle Br, per il concorso nell’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso, morto nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 durante il blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gangia.

La notizia su cui invece vogliamo soffermarci proviene dal Liceo Romagnosi di Parma dove, nei giorni scorsi, gli studenti hanno dialogato riguardo al tema della “giustizia riparativa” con Agnese Moro, figlia dello statista, e Grazia Grena, ex terrorista militante in gruppi di lotta armata, che oggi presiede l’associazione “Loscarcere” e si occupa di volontariato nelle carceri italiane.

Moro e Grena hanno preso parte volontariamente a un percorso guidato e accompagnato insieme ad altri familiari di vittime del terrorismo e a ex terroristi, raccontato nel volume “Il libro dell’incontro, vittime e responsabili della lotta armata a confronto”, a cura di Adolfo Ceretti, Giuseppe Bertagna e Claudia Mazzucato, edizioni Il Saggiatore.

Agnese Moro ha esposto agli studenti come ha vissuto i drammatici momenti del rapimento del padre: “Avevo 25 anni e per me mio padre era molto importante, gentile e, anche se non c’era molto a casa, affettuoso. L’ho salutato frettolosamente una mattina perché ero in ritardo per il lavoro e da quel giorno non l’ho mai più rivisto”.

Moro ha poi raccontato di quanto le abbia fatto male il modo insensibile con cui i rapitori hanno deciso di non far avere alla famiglia le lettere d’addio, “piene di parole serene e meravigliose”, che Moro aveva scritto per loro durante la detenzione, giunte a lei 12 anni dopo.

Infine ha spiegato quanto la giustizia riparativa sia stata importante per lei, per riuscire a guardare con altri occhi il suo dolore, confrontandosi con gli assassini di suo padre. “Per me è stato importante poter rimproverare. Avere giustizia per me non è il fatto che si scontino tanti anni, sento giustizia quando qualcuno mi dice che ha capito di aver ucciso una persona che per me era cara”.

“Eravamo convinti di fare del bene – ha raccontato Grena – e la scoperta che non si può fare del bene attraverso il male è stata per me la realizzazione di una grande verità. Abbiamo scambiato il tramonto per una nuova alba, in realtà eravamo diventati come i mezzi che usavamo per raggiungere i nostri fini”.

Sapere imparare dai propri errori, anche quando sono stati gravissimi come nel caso del terrorismo, è l’inizio della strada che porta ad un’umanità più piena.

Tiziano Conti

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