Cinquantacinque anni fa, esattamente il 7 aprile 1968, il pilota di Formula 1 Jim Clark scomparve sul circuito di Hockenheim, in Germania: le cause non furono mai accertate, anche se l’ipotesi più verosimile è quella del cedimento meccanico.
Un pilota della F.1 che non ha mai avuto rivali diretti: semplicemente, nessuno era veloce come lui.
Un giorno Chris Amon (di lui Enzo Ferrari disse: “E’ stato il miglior pilota-collaudatore che io abbia mai avuto”, anche se in due anni con le rosse non ha mai vinto un Gran premio; era più adatto alle gare di durata) dichiarò riguardo a Clark: “L’ho anche battuto, ma era molto, infinitamente più forte di me”.
Misteriosamente più bravo di tutti, pulito nello stile, per niente appariscente.
Nella leggerezza delle Lotus, Clark aveva la migliore alleata, nella loro fragilità una nemica mortale. Seppe convivere con entrambe, da grande pilota quale era.
Soprannominato “lo scozzese volante”, il suo stile di guida si basava sulla sua velocità: non aveva una particolare tattica di gara, otteneva spesso la pole position e poi partiva sempre molto forte conquistando, già nel primo giro, un margine di vantaggio sugli inseguitori, quindi se la macchina non aveva problemi procedeva continuando a migliorare i tempi sul giro.
Timido ma mai scostante, introverso, fondamentalmente umile e mai aggressivo, sulla sua tomba volle scritto “farmer”, contadino. Da possidente scozzese, immerso in un mare verde, ricco di pecore e di colline a perdita d’occhio.
L’intera carriera in Formula 1 di Clark è stata disputata con la Lotus di Colin Chapman, per la quale ha corso dal 1960 al 1968. Vinse in Europa e poi andò in America dando una lezione a tutti i mostri sacri sul circuito di Indianapolis, costringendo AJ Foyt – vincitore di quattro edizioni della 500 Miglia – a riconoscere: “Questo sì che è un uomo”.
La sua fine resta avvolta nel mistero: restano solo ipotesi, ma sprovviste di una prova decisiva a spiegare perché era volato via, senza una ragione a svelare neppure come potesse andare così forte, in tutti i suoi anni migliori.
Una rara foto lo ritrae sorridente e disteso: alla premiazione del Gp d’Olanda 1965, quando ricevette il bacio della vittoria da Monica Vitti, un’altra grande, lei nel campo del cinema, ritrosa e introversa come lui.
Perché la vita, per una volta, gli sembrò dolcemente rilassante, bionda e bella più del solito.
Jim Clark: un testimone di altri tempi, quando lo sport aveva ancora un’aurea di bellezza che lascia il segno nel tempo, più vicino ai Tazio Nuvolari e ai Manuel Fangio che ai Leclerc e Verstappen.
Tiziano Conti
Ringrazio Serena Di Palma per il suo post su Linkedin, spunto per queste riflessioni