«Nella disgrazia abbiamo ritrovato la voglia di lavorare insieme e sentirci comunità»

L’alluvione ha lasciato un grande segno nelle nostre comunità. Un evento che la Romagna non dimenticherà in fretta. C’è un fil rouge che collega tutte le testimonianze che ci arrivano dai paesi colpiti. Dalla disperazione si è passati alla solidarietà, alla voglia di rimboccarsi le maniche e un rinnovato senso di appartenenza a una comunità. Qui la testimonianza del nostro collaboratore Gian Marco Grandi, residente a Sant’Agata sul Santerno.

Sant’Agata sul Santerno è diventata tristemente nota alla cronaca nazionale a causa dell’alluvione che lo scorso 17 maggio ha sconvolto il paese. Circa 2900 abitanti alle prese con l’acqua, il fango, poi con la polvere e le macerie. Giorni ripetitivi, accompagnati dal rumore delle idropulitrici e dei camion che raccolgono il fango ormai indurito e i detriti ai lati delle strade. Uno scenario inimmaginabile.
Le tante immagini di Sant’Agata trasmettono solo una piccola parte di quelle sensazioni provate dai cittadini e dai volontari che in queste giornate stanno contribuendo alla rinascita del paese. C’è chi ha perso tanto e chi ha perso tutto. C’è anche chi da lontano, è arrivato per aiutare qualche sconosciuto a ritrovare un po’ di normalità, dal rivedere il pavimento pulito, al poter guardare il proprio giardino nella sua forma originaria. Particolari apparentemente banali, magari privi di senso per un lettore che non ha avuto modo di sperimentare con i propri occhi, mani e gambe, il disagio causato dall’illusoria immobilità del fango. Case svuotate, recinzioni abbattute e automobili accatastate. A volte addirittura smarrite. Questi sono i fotogrammi impressi in ogni santagatese.
Così come è impresso il flusso travolgente dell’acqua, che con estrema semplicità abbatteva cartelli stradali e arredamenti di vario genere. “Disastro” è stata per giorni la parola più ricorrente e utilizzata dai santagatesi. La domanda “hai bisogno?” da parte dei volontari e vicini di casa, ha invece permesso di dare una risposta e recuperare gradualmente quella normalità sommersa dal fango. Non tutto è stato recuperato e molte cose, non saranno più riutilizzabili. Libri, mobili, fotografie. Ogni santagatese ha perso almeno un oggetto dall’importante valore affettivo o economico. E questo chiaramente, nelle prime fasi ha suscitato rabbia e in certi casi il desiderio di individuare necessariamente e rapidamente uno o più colpevoli; anche con lo stimolo da parte di alcuni reportage giornalistici che più che al racconto, miravano al sensazionalismo. Senza poi trovare o proporre nulla di concreto. Dinamiche sconosciute per un piccolo paese di provincia ma utili in quanto permettono di creare dibattiti, suggerimenti, scambio di opinioni. E, se fino a poche settimane fa il paese era identificato da molti residenti come “dormitorio”, ora si potrebbe quasi soprannominare “parlamento” in quanto tante persone, più o meno seriamente propongono modalità attraverso le quali si sarebbe potuta evitare la tragedia. Si sorride, si lavora, ci si arrabbia. E si torna a sorridere. Nella disgrazia, molti cittadini hanno riscoperto la solidarietà e la collaborazione, il desiderio di costruire e fare parte di una comunità.
Come diceva Benjamin Disraeli “non c’è nulla di più educativo delle avversità”; e purtroppo, questa calamità noi santagatesi la ricorderemo a lungo. Con l’auspicio di poter vedere risorgere il nostro paese e di formare una comunità ancora più forte, unita e coesa.


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