GIUSEPPE: UN “MAESTRO” CHE CAMMINAVA SEMPRE “TRE PASSI DAVANTI A ME”
di RAFFAELE CLO’
Il mio rapporto con Giuseppe Xella è stato continuativo e molto intenso per tutti gli ultimi 50 anni: inizialmente prevaleva in me il senso di subalternità, che derivava non tanto dal suo atteggiamento legato al ruolo, che non faceva certo pesare, ma dall’autorevolezza delle cose che diceva e dalla serietà delle proposte, il tutto espresso sempre con assertività e chiarezza. Una maggiore confidenza nei suoi confronti maturò in me grazie ad occasioni di incontro al di fuori del lavoro, negli ambienti che facevano riferimento al mondo cattolico locale a cui entrambi partecipavamo e che vedevano frequenti punti di contatto, pur partendo da esperienze diverse: le sue più sul versante parrocchiale e della Casa della Carità, le mie su quello sociale e dell’esperienza cooperativa.
E’ stato nell’ambiente lavorativo, però, che il nostro rapporto si è consolidato velocemente: nel decennio 1985/95 si registrarono grandi cambiamenti e la nostra “piccola” Cassa di Risparmio rispose con iniziative innovative che ottennero importanti risultati grazie alla diffusa applicazione dei processi informatici di ultima generazione, delle tecniche di marketing, della comunicazione e della formazione del personale. Aver anticipato i tempi rispetto ad altri operatori sulla piazza determinò un vantaggio competitivo con crescita dell’apprezzamento della clientela per la Cassa, poi Cassa-Monte, e conseguente sviluppo degli affari. Tutto procedeva in modo ordinato ed armonico sotto la regia del nostro Direttore, che orientava, governava e controllava sempre con il metodo del coinvolgimento, mai in modo autoritario.
Ho sempre considerato che sia stato per me un privilegio la situazione per la quale l’ho affiancato come uno dei suoi più stretti collaboratori in quel periodo e non mi è mai pesato il sacrificio che spesso quel ruolo imponeva in termini di tempo e di applicazione: ho accumulato conoscenze e competenze grazie all’attenzione, alla fiducia e alla determinazione nel seguire una modalità “globale” che metteva assieme il pensare, l’agire, l’essere. Nel mio modo di vedere le cose, Giuseppe era sempre “tre passi avanti a me” ed il riferirmi a lui come “maestro”, anche nei periodi successivi, quelli in cui la frequenza non era così assidua, ha rappresentato un criterio imprescindibile per le scelte che tempo per tempo ho dovuto fare nella vita, caratterizzate il più delle volte da una condizione di collegialità: vien da sé che mantenere invariata la distanza da uno che ha …. leve ben più lunghe delle tue comportava una intensificazione dello sforzo prodotto, che però veniva ripagato dalla convinzione di uscirne sempre arricchito.
Non era poi così scontato, per molti colleghi di lavoro e anche per chi osservava dall’esterno, che il Direttore dovesse avere grande rispetto per tutti, che non alzasse mai la voce ma che procedesse sempre per le vie del convincimento e del dialogo: il “prototipo del numero uno” forse non aveva proprio quelle caratteristiche, ma chi si sentiva trattato con grande umanità poi aveva atteggiamenti sul lavoro più concreti e collaborativi e restituiva, nei fatti, la stima ricevuta.
Anche in Fondazione il confronto è stato costante e per me particolarmente importante: se il suo ruolo di Presidente dell’Assemblea non comportava alcun aspetto di operatività, la sua conoscenza del contesto organizzativo e la sensibilità verso l’obiettivo primario costituito dalla funzione di sostegno ai progetti ed alle necessità del terzo settore sono sempre stati per me decisivi, in un periodo particolarmente difficile per la vita dell’Ente. In particolare quando, dopo pochi mesi dal momento in cui assunsi l’incarico alla Presidenza della Fondazione, si verificò l’improvviso e imprevisto dissesto della banca conferitaria (che era diventata Cassa di Risparmio di Cesena, a seguito di diversi processi di aggregazioni) e fu il tempo di adottare decisioni indispensabili ma assai dolorose per la consistenza patrimoniale della Fondazione; decisioni che richiedevano grande pragmatismo e senso di responsabilità, sapendo che alternative intransigenti (come quelle di resistere alle indicazioni della Vigilanza) avrebbero potuto comportare la messa in liquidazione della Banca stessa. Il dibattito fu a più voci nei vari Organi e fra le Fondazioni coinvolte ma a guidare la scelta finale fu il criterio di dare continuità alla banca quale bene che interessava tutta la comunità, evitando rischi di depauperamento per i risparmiatori e le aziende, ma sapendo che questo avrebbe comportato il pagamento di un conto assai salato per la Fondazione, come poi è successo: approfondito il tema anche con Giuseppe, da lui venne il sostegno convinto, che era frutto di capacità di analisi e di lunga esperienza, per la posizione che andavamo maturando.
La dimensione della fede traspariva in filigrana in ogni sua manifestazione perché era intrinseca al suo essere e ti portava a convincerti che, anche se a te risultava più difficile, però quella era la via giusta per la testimonianza del Vangelo come condizione normale, senza strafare. La fede l’ha accompagnato e sostenuto in modo particolare negli ultimi quattro anni quando, già sofferente per la malattia, aveva improvvisamente perduto l’inseparabile Quinta, compagna di tutta la vita: sofferenza aggiunta a sofferenza, vissuta però sempre in modo sereno e convinto di quanto la misericordia di Dio aveva operato e tuttora operava nella sua vita: affaticato e con poche parole, questo era il senso di quanto mi disse nell’ultimo colloquio telefonico, quando banalmente gli chiesi come avesse superato le conseguenze dell’alluvione. Sabato mattina, poi, comunicandomi la sua morte con un messaggio, Nicola ha scritto “presente e lucido fino alla fine”: non parole di circostanza ma una vita che si andava a concludere con una impareggiabile coerenza.
Un affettuoso ricordo di Raffaele Clò