Ho riflettuto parecchio, prima di scrivere queste mie considerazioni, povere ma che nascono dalla condivisione del concetto della “giustizia riparativa”, a cui mi sono accostato leggendo le varie storie di avvicinamento tra alcuni componenti delle Brigate Rosse e i figli di coloro che restarono uccisi dai loro attentati e sparatorie.
Stare nella complessità è il compito più difficile. Non giudicare, non condannare. Provare a capire, nel limite dell’umano, a mettersi nei panni dell’altro. Senza perdere la lucidità morale, senza dimenticare il bene. E il male. Anche quando i confini sono instabili. Anzi, forse soprattutto quando lo sono.
I media hanno pubblicato le immagini e gli audio del primo colloquio tra Nicola Turetta e il figlio Filippo nel carcere di Verona dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Il contesto di quella conversazione è importante. E’ la prima volta, dopo il delitto e il tentativo di fuga, che i genitori incontrano dietro le sbarre il figlio assassino.
Prima di incontrare il ragazzo, il padre e la madre hanno parlato con uno psicologo: possiamo supporre che, tra gli argomenti, ci fosse da decidere cosa sarebbe stato opportuno dire a Filippo nel momento fatidico del primo incontro, quando bisogna scegliere le parole da dire a un figlio in carcere perché assassino reo confesso della sua fidanzata.
Per il potere immenso del negativo, deve essere data anche a Filippo Turetta la possibilità di ritrovare se stesso nell’abisso della sua devastazione: si tratta di sostenere il cambiamento, di renderne praticabile la speranza, senza sottovalutare il delitto, ma lasciando aperta una strada, prefigurando anche per lui, dopo la lunga prigionia, un futuro possibile.
Immaginare una vita, dopo aver pagato per le proprie colpe: tra le poche frasi comparse sui media di Francesco De Nardo, padre di Erika, (che nel 2001 uccise il fratellino e le madre), ce ne fu una: “Devo proteggerla, al limite anche da se stessa. Una ragazza della sua età deve per forza avere un futuro. Ma quando la guardo, a volte penso: dove ho sbagliato?”.
Turetta padre poi ha dichiarato: “Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Temevo che Filippo si suicidasse. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Filippo ora si rende conto di quello che ha fatto. E io non pronuncerei più quelle parole”.
Rendere praticabile la speranza, senza sottovalutare il delitto, ma lasciando aperta una strada. È il senso della giustizia riparativa. Quella che contraddistingue un sistema che permetta di recuperare le persone che hanno sbagliato.
Anche se, purtroppo, dal male che hanno compiuto non si può tornare indietro.
Tiziano Conti
Foto Wikipedia, Jakub Schikaneder, Murder_in_the_House (Omicidio in casa) – 1890