Miscellanea di un grafomane (parte prima)

a cura di ANGELO  RAVAGLIA

1)La vulgatio della Storia: dal barbiere al …Barbero

Negli anni Sessanta impazzava una collana di  libri sulla storia d’Italia nei secoli a firma Montanell e Gervasio. Avevano un grande successo perchè scritti in modo fluente,  ricchi di aneddoti e curiosità.

Gli storici accademici li detestavano, invidiosi della loro diffusione e li bollavano con sufficienza come “Storia raccontata dal barbiere.”

Presentarsi agli esami universitari con uno di quelli assicurava l’ immediata bocciatura, essendo ritenuti equivalenti ai bignami dei Promessi Sposi.

Oggi, dovremmo aggiornare la vulgatio della storia raccontata e, soprattutto, reinterpretata in modo accattivante sul web ed in tv e  dal pimpante professore piemontese  con un nuovo detto: la storia raccontata dal …Barbero.

 Absit iniuria verbis !!

Chapeau !

2)Correrò il rischio di essere  frainteso…

Ben  11.591 sanzioni in tre mesi e mezzo con una media di 110 al giorno. E’ questo il clamoroso risultato dell’ autovelox collocato sulla sp San Vitale in comune di Bagnacavallo a ridosso del fiume Senio, ma con riferimento unidirezionale a chi proviene da Lugo .

Come ben spiega l’articolo  del Carlino (10 gennaio) questo autovelox tarato su una velocità di 50 km ( invece dei 70 Km precedenti) dalla Polizia della Bassa Romagna , si è trasformato di fatto in un bancomat  per i Comuni dell’Unione poichè si trova alla fine della discesa del ponte ed all’ inizio di un rettilineo extra urbano, 

La differenza con il numero di infrazioni rispetto a quelle rilevate (675) nello stesso periodo sulla provinciale Bastia  è notevole , probabilmente  grazie ad una segnaletica meglio graduata alle caratteristiche di quella strada.

Ora, pur riconoscendo (sia chiaro!) la opportunità degli autovelox, essendo la velocità ritenuta unanimemente come prima causa della mortalità stradale nonché necessaria l’adozione del limite dei 30 Km in tutti i centri storici, si rileva che ne  sarebbe opportuno un uso mirato e graduato alle caratteristiche stradali. Ossia non esclusivo, alternandoli a dossi dissuasori, lampeggianti e pannelli informativi.

Insomma un uso, non un abuso; altrimenti i cittadini li percepiscono in modo vessatorio, particolarmente odiosi in periodi di vacche magre e bollette alte.

Anche di questo aspetto collaterale gli amministratori devono tener conto, non solo dell’incasso, ad evitare sia derive populiste oppure verso l’area del non voto. Specialmente riguardo ai ceti sociali meno abbienti, i più esposti a certe suggestioni.

L’esempio di Faenza in cui i cittadini hanno dovuto risorrere al Tar ( che gli ha dato ragione) contro un autovelox trasformato in un bancomat,  è lì a dimostrarlo.

DIVERTISSEMENT  :  au marché !

 

             Aneddoti su dialoghi in  francese e romagnolo 

 

Dopo l’occupazione violenta di  Lugo del 1796 ad opera delle truppe napoleoniche, la vita quotidiana inevitabilmente riprende.  

Un soldato francese, incoraggiato dal fatto che mercato nella sua lingua e in romagnolo   si pronuncino quasi allo sesso modo ( marché e marchè),  è incuriosito dalle noci in vendita da una popolana.

Testo del colloquio con la venditrice:

D       comment s’appellent ces?

R        no, an’s péla miga, al s’amaca

D        comment ?

R         no brisa cun al man,  ma cun na pré o cun e martél…

D       Je ne  compris pas

R         S’ an li cumprì , lascili alè. 

Dialogo verosimile, che si alimenta creando equivoci, grazie alle notevoli assonanze tra il francese ed il romagnolo, entrambe lingue gallo-romanze con la stessa matrice celtica.

In campagna, invece, un altro soldato francese vuole comprare dei  polli  proposti con insistenza  da una contadina, ma si dimostra incerto nella scelta e sbotta:

D   ègal , il sont  ègal  ! … (uguale, sono uguali) 

 é gal ? No, no… é gal propri no  ! ( il gallo? No, il gallo proprio no)

A Imola, invece , subito dopo l’ arrivo dei soldati francesi che avevano  cacciato gli austriaci, una ortolana sempre al mercato, commentò:

Manc mèl che cun sti franzìs qualquel us capéss , ma cun chi tudèsk ch’u iéra  préma un’ s capeva propri un azidént , ossia ”Meno male che con questi francesi qualcosa si capisce, ma con quei tedeschi che c’erano prima non si capiva un accidente!”

Aneddoto autentico riportato dal linguista e docente all’Università di Bologna Giuseppe  Pittano  in “Ieri in Emilia-Romagna , dialetti, tradizioni , curiosità” (ediz. Aniballi, Bologna, 1985)

NB  la scrittura dei termini ed accenti dialettali  non è perfetta : si è cercato di scrivere in rosso le possibili assonanze che possono creare equivoci spesso esilaranti.

Dialetto vivo : fino a quando?

 

Ai dubbi sulla sopravvivenza del dialetto da parte del poeta Nevio Spadoni (RdC, 21  us) ha già risposto tempo fa  l’attore Ivano Marescotti: sopravvivrà finché ci sono persone in grado di parlarlo come il sottoscritto che ha imparato l’italiano a scuola e che in famiglia ha parlato e parla solo dialetto.  Ossia venti o trent’anni.

Paradossalmente, è stato giustamente rilevato, la lingua del popolo sta diventando oggi riservata ad un’ elite.

Dopo vivrà nei libri, particolarmente in quelli di poesia.

Come l’italiano, l’ex volgare  di Dante, poichè il dialetto è anche una lingua poetica laddove si emancipa dalla realtà materiale e prosaica del mondo contadino in cui si è sviluppato. Spesso con toni elegiaci. I grandi poeti in dialetto, significativamente diffusi in Romagna, si nutrono di questo retroterra e di questo humus. Come Giuseppe Bellosi, uno per tutti.

Illuminante la citazione che Spadoni fa dello scrittore rumeno Emile Cioran: “Non si abita un paese, si abita una lingua. Una patria è questo e nient’altro.”

Tradotto: finchè si parlerà dialetto, quella cultura, principalmente  contadina, con i suoi valori ed usanze, sarà viva.

A tal  proposito, ascoltavo tempo fa  in treno una  conversazione  in dialetto grazie ai cellulari , evento raro poiché di solito se ne inibisce l’uso  in pubblico, almeno per gli anziani.

Una matura azdora spiegava alla nuora in cucina, a casa, i segreti di una ricetta tipica romagnola: gli urciò, ossia tortelloni di spinaci e ricotta.

La descrizione era così accurata che io riuscivo ad immaginare l’atmosfera, l’arredo e sentire l’odore di quella cucina ed a vedere gli ingredienti . Ecco, il dialetto aveva un ruolo evocativo di un’atmosfera che rimandava alla mia infanzia: io “abitavo” in quella cucina.

 

In conclusione, oggi il dialetto è una lingua evocativa di un cosiddetto “bel mondo antico” o forse, semplicemente, malinconicamente, di un altro mondo, quello della nostra infanzia.

Quello in cui i contratti si concludevano con una stretta di mano e quello che contava era la parola data. Quello in cui i bambini bussavano alla porta  e auguravano il buon anno al padrone di casa, ai suoi familiari e agli animali nella stalla.

Oggi questa usanza è stata sostituita in parte dalla festa importata  e consumistica di Hallowen in  cui ragazzi, anche figli di immigrati, bussano alla porta per ricevere qualche dolce o mancia.

Un fenomeno che produce un effetto di straniamento negli anziani già ben presente nelle poesie di Raffaello Baldini, acuìto dal sopraggiungere dell’immigrazione  da vari Paesi.

Anche da questo nasce il successo del teatro dialettale e del fiorire delle poesie in dialetto: una ricerca continua delle radici come  rifugio e fuga da un mondo globalizzato che è cambiato troppo in fretta e a cui non ci si è ancora abituati.

Il dialetto è di fatto …no global.

ANGELO   RAVAGLIA  info 340.59

 

 

 

 

 

 

 

Ultime Notizie

Rubriche