Donald Trump e i piani per la rivincita

“Per la legge sul finanziamento della campagna elettorale non sono autorizzato a dire se mi ricandido nel 2024. Dirò solo questo: molti americani saranno contenti”.

Così Donald Trump ha risposto alla domanda sulla sua candidatura alle Presidenziali americane del 2024, in una recente intervista televisiva. Un ritorno di Trump alla Casa Bianca non è un’ipotesi remota: con Joe Biden che fatica a raggiungere il 40% di consensi nei sondaggi e il partito repubblicano favorito per la riconquista della maggioranza parlamentare alle elezioni del prossimo novembre. L’armata dei suoi elettori – pur perdendo contro Biden, lui ne conquistò 11 milioni in più dal 2016 al 2020 – ha nostalgia di Trump. Rimpiangono il boom economico durante la sua presidenza (pre-Covid, certo). Considerano sacrosante le scelte che fece per penalizzare la Cina con i dazi e per limitare l’immigrazione, tant’è che Biden finora non ha cambiato in modo sostanziale queste due politiche.

Nella pandemia fu lui a dare aiuti per la scoperta e la produzione dei vaccini, anche se poi si spaventò per la diffusione dei no-vax nella sua base e cominciò a girare senza mascherina. Lo shock delle stragi da sparatorie non intacca veramente il suo consenso. Quella parte della nazione è rappresentata dai repubblicani ma non solo da loro; la cultura delle armi ha attecchito anche in minoranze etniche che non si fidano dello Stato per la loro sicurezza. E la guerra in Ucraina? Trump non rinnega il feeling che ebbe con il presidente russo, ma si vanta di averlo tenuto a bada. “Lo minacciai come non era mai stato minacciato prima, per dissuaderlo dall’invadere l’Ucraina. Dobbiamo vergognarci per non aver saputo fermare questa guerra”. Cioè: deve vergognarsi Biden.

La pensa diversamente l’ex segretario alla Difesa di Trump, Mark Esper. Il libro di memorie che ha appena pubblicato si riferisce a quello che fa un ministro sul rispetto della Costituzione: l’ex capo della forze armate descrive un leader che d’istinto aveva il grilletto facile.

Un bel film uscito di recente, “Elegia Americana”, racconta la storia di J.D. Vance che ha vinto le primarie dei repubblicani nell’Ohio e sarà candidato per il seggio di senatore a novembre. È il racconto dei bianchi poveri che oggi sono la base più fedele del trumpismo. Rovinati dalle élite delle due coste che votano a sinistra, impoveriti dalla globalizzazione e dall’immigrazione, quei bianchi si sentono anche disprezzati e condannati nello status culturale: i media progressisti e Hollywood li descrivono come razzisti bigotti, bifolchi accecati dai pregiudizi.

Vance dopo aver descritto quell’ambiente in un suo libro dal titolo omonimo, si è lanciato in politica ed è diventato un paladino di Trump. Non esita a dire che “In Ucraina non abbiamo interessi da difendere, di quella guerra non ce ne importa nulla”.

La teoria della grande truffa elettorale è viva e vegeta: nella sua propaganda e nella sua base. Il test decisivo per misurare se un candidato repubblicano alle legislative di mid-term è un trumpiano autentico oppure un “traditore, venduto” è proprio questo: per passare gli esami di fedeltà al grande capo bisogna ripetere con lui la menzogna secondo cui Biden è un usurpatore, insediato alla Casa Bianca in seguito a brogli massicci. Tra gli ultimi retroscena delle indagini del Congresso sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 spunta un Trump che avrebbe annuito agli slogan di chi voleva “impiccare Mike Pence”, il suo vice che ratificò l’elezione di Biden.

Un’osservatrice acuta della destra americana è Peggy Noonan, che fu consigliera di Ronald Reagan. “Se sarà Trump il prossimo candidato scelto dai repubblicani è una decisione che rimane soprattutto nelle sue mani”.

Nelle nostre menti, più che nelle nostre mani, rimane un’incognita, in questi tempi di tutti contro tutti: arriverà Trump alla testa del 7° cavalleria?

Tiziano Conti

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