San Giuseppe Lavoratore a Lugo, due interessanti riflessioni sul mondo del lavoro

RIPORTIAMO LA TESTIMONIANZA DI RAFFAELE CLO’, INCARICATO DALL’UFFICIO DIOCESANO PER LA PASTORALE DEL LAVORO, E DELL’ASSESSORE ALLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE DEL COMUNE DI LUGO IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DELLA RICORRENZA DI SAN GIUSEPPE LAVORATORE IL 1° MAGGIO 2023 PRESSO LA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN FRANCESCO DI PAOLA, A  LUGO

Buon pomeriggio a tutti voi qui presenti, buona festa del 1° Maggio, buona ricorrenza di San Giuseppe Lavoratore, nella quale ci ha accompagnato la celebrazione appena conclusa; ringraziamo poi il Parroco mons. Carlo Sartoni per la disponibilità nell’ospitare questo percorso itinerante fra le Chiese della nostra città da 20 anni.
Il saluto è a nome dell’Ufficio per la Pastorale del Lavoro della Diocesi di Imola, dal quale sono stato incaricato per la rappresentanza nel Vicariato di Lugo, e mio personale.
Ho detto 20 anni di percorso itinerante che rappresenta l’espressione dell’unità della realtà di associazioni e movimenti ecclesiali presenti nella Consulta, ma ancor prima, ciascuno di questi, in autonomia, testimoniava l’esperienza del contesto lavorativo vissuto nello spirito dell’appartenenza alla comunità cristiana.
E fu proprio in quel periodo, anni ’80 e anni ’90 del secolo scorso, che maturò tale coscienza attraverso lo studio, l’approfondimento e il confronto di un tema tanto avvincente, sul quale anche noi cattolici dovevamo esprimerci e marcare una presenza nella società in quanto convinti portatori di un pensiero forte ed attuale, utile strumento di dibattito su un livello di parità e non di subordinazione ad alcun altro, sui piani dell’etica e della responsabilità, non su quello delle teorie economiche che pur dobbiamo conoscere perché a tutti devono essere di riferimento.
Sono partito con un breve rewind storico per stabilire continuità fra questo e gli incontri precedenti, ma soprattutto per stimolare in tutti noi un ragionamento sui radicali cambiamenti che sono avvenuti nel periodo di tempo considerato e se il Magistero della Chiesa si sia nel frattempo rinnovato e abbia intercettato molte delle novità che hanno letteralmente cambiato il mondo, mantenendo l’ispirazione ideale che è sempre stata ed è tuttora quella di coniugare l’esperienza umana, in questo caso particolare quella lavorativa, con la matrice ideale della professione di fede.
Tale matrice di riferimento, ora come allora, è costituita dalla Dottrina Sociale della Chiesa, con il punto di svolta che ormai data 130 anni e che è rappresentato dalla Lettera Enciclica Rerum Novarum e, in tempi successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II, da altre Encicliche e Documenti che costituiscono dei veri e propri capisaldi del Magistero: cito, come esempio solo Populorum Progressio, Laborem exercens, Centesimus annus. In tempi più recenti costituiscono punti di riferimento in senso innovativo Deus Caritas Est e Caritas in Veritate di Papa Benedetto e Laudato Sii e Fratelli Tutti di Papa Francesco con indirizzi inequivocabili sulla fratellanza che deve avere il sopravvento sull’ostilità, l’umanesimo sulle teorie materialistiche, la salvaguardia del creato, divenuta particolarmente urgente per l’incalzare della crisi ambientale che sta presentando il conto di un vero e proprio disastro ecologico.
Per contestualizzare il nostro ragionamento, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, uscito alcuni decenni fa con il merito di aver raccolto in modo organico tutta la materia, riprendo solo poche righe che sono di grande attualità:
287  – Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l’uomo: un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana.
e prosegue

288 – Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La « piena occupazione » è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, « non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale ».
Un pensiero sempre assai elevato, una valorizzazione della persona che non ha eguali nelle teorie filosofiche ed economiche, ma anche una difficoltà di applicazione ed una carenza di riscontro altrettanto evidente: una dicotomia fra quanto il nostro animo diceva che avrebbe dovuto essere e quanto si realizzava nella nostra società, spesso anche con il nostro contributo, più o meno consapevole, positivo o negativo che fosse.

Ora mi pongo una domanda, che forse anche molti di voi si stanno facendo: a che cosa è servito propugnare la Dottrina sociale della Chiesa se poi, alla prova dei fatti, in questi anni la situazione è decisamente peggiorata in tutti i sensi e per tutte i contesti a cui ci si riferisce? Senza addentrarci nei problemi più gravi relativi alle guerre che provocano sempre morti e distruzioni e le minacce ambientali davanti alle quali solo ora si inizia ad aprire gli occhi (e i portafogli), possiamo dire che la globalizzazione abbia portato una più equa redistribuzione della ricchezza e una maggiore occupazione per una popolazione in fase di disomogenea crescita? Il problema dell’immigrazione lo stiamo affrontando solo come un’emergenza oppure ci stiamo preparando all’accoglienza ed all’integrazione? Sollecitiamo processi di formazione e apprendimento continuo per disporre delle professionalità giuste in presenza di un cambiamento tecnologico che non ha precedenti? Senza trascurare di lasciare alcuno nel bisogno, abbiamo attenzione prioritaria alla creazione dei posti di lavoro che possano offrire una prospettiva anche alla costruzione di una famiglia? Il precariato è necessario per una maggiore competitività nel sistema imprese oppure può trovare meccanismi di conversione e di professionalizzazione?
Il pessimismo ci farebbe dire che l’involuzione è progressiva e non lascia sufficienti margini di speranza, se non per i soliti privilegiati dei quali si parla tanto, quelli che inventano nuovi mestieri, che rappresentano un modello da imitare specialmente per i giovani, ma che costituiscono una assai esigua minoranza. E tutti gli altri che sono esclusi all’ingresso (i giovani) o che sono espulsi definitivamente (la mezza età) dal lavoro, per questi quali soluzioni può trovare la Dottrina Sociale della Chiesa?
No, non esiste solo il punto di visione negativo! Ogni giorno si compiono modelli assolutamente virtuosi, che non hanno spazio perché, purtroppo, non interessano i mass media, ma sono di numerosità assai superiori a quelli che vengono stigmatizzati, perché essi fanno più audience. Milioni di lavoratori, ogni giorno, lavorano per costruire una prospettiva, milioni di imprenditori progettano e rischiano non solo per il proprio guadagno, ma per contribuire, assieme ai propri dipendenti, al bene comune. Quindi, occorre perseverare con sempre maggiore impegno e unire un maggior numero di forze fra quelle presenti nella società perché la giustizia e il bene comune non hanno abdicato, ma devono essere alimentati, anche se ci sembra che, nell’immediato, questo non abbia gli effetti sperati.
D’altronde, non siamo soli e non dobbiamo avere paura. La catechesi di Papa Francesco ha rappresentato la nuova fase di rinnovamento della dottrina sociale della Chiesa: semplice ed efficace perché ha l’obiettivo di tradurre in proposte concrete il nostro disorientamento sull’etica e sui valori.
In essa osserviamo il filo che tiene assieme la salvaguardia del creato con lo scarto e il riuso, l’attenzione a chi viene da lontano, a chi è oppresso da una croce e non riesce a reggerla, la promozione dei beni comuni.
Proprio per concludere con uno spirito di positività e di ottimismo, vi parlo di mestieri vecchi e nuovi, che non sono solo quelli legati alla tecnologia, alla smaterializzazione e allo smart working. Per primo, la cura della persona, non solo per gli effetti e le conseguenze emotive della pandemia, ma perché ci sono persone anziane che hanno diritto ad un’esistenza dignitosa, assistita e confortata, ci sono bambini e ragazzi che devono essere governati oppure anche solo accompagnati in percorsi che per loro presentano difficoltà. Sono lavori per i quali non è sufficiente la pur indispensabile professionalità ma serve anche quell’umanità che ciascuno ha dentro, ma che, quando non risulta sufficiente, va aumentata con il coinvolgimento e la formazione specifica. Non c’è solo la specializzazione “industria 4.0”, ma anche questi sono mestieri che devono essere visti con favore: meno computer, più cuore, ma non tutti siamo fatti per entrambi, quindi si può e si deve scegliere per tempo la propria vocazione, specie laddove c’è una prospettiva in più e le Cooperative Sociali, e le Imprese Sociali stanno crescendo proprio in risposta a questa esigenza.
E ho tenuto per ultimo il settore emergente, quello che ha rappresentato, negli ultimi decenni, la vera buona notizia: la creazione di condizioni per ridurre le distanze nei confronti di ragazzi e adulti meno fortunati, quelli che un tempo non andavano a scuola e per loro era vietato il mondo del lavoro, quindi la possibilità di vivere una vita normale, in rapporto con gli altri, costruendo un progetto di vita con persone che sono in grado di aiutarli e rassicurarli ad ogni passaggio. Oggi i giovani sono affiancati nel percorso scolastico, completano gli studi, sono inseriti in contesti lavorativi in base alle proprie capacità espressive, vivono relazioni e partecipano ad emozioni che fanno onore a loro e a quelli che, consapevolmente, li aiutano in questo percorso. Andiamo a conoscere e ad aiutare queste realtà che sono vicine a noi, anche se spesso non ce ne accorgiamo.
Non è forse questa l’umanità, l’attenzione al prossimo, la costruzione del bene comune che ci insegna il Magistero? Non sono certo questi i prodotti dell’edonismo più sfrenato, dell’apparire piuttosto che l’essere, della costruzione di gabbie dorate nelle quali nessuno deve disturbarci.
Questi sono i segnali che vanno considerati nella costruzione di una società più giusta; non c’è PIL che tenga davanti alla prospettiva di vedere una società coesa, che cammina assieme, dove le differenze vengono colmate. Per noi credenti, tutto questo si chiama carità e fratellanza, per tutti è una umanità che non lascia indietro nessuno.

Raffaele Clò


 

Buonasera a tutti,
porto il saluto dell’Amministrazione Comunale di Lugo in questa giornata di festa, ricordando, a tutti noi, che, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione, l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Il lavoro è tutelato dagli articoli del Titolo 3^ della Costituzione Italiana, purtroppo dopo oltre 75 anni, non sempre applicati fino in fondo.
Dobbiamo salvaguardare la dignità del lavoro perché svolto da una persona umana (come ci ha raccomandato San Giovanni Paolo II nell’enciclica LABOREM ESERCEM). La dignità del lavoro si misura nella sua dimensione soggettiva e non in quella oggettiva (ha uguale dignità chi pulisce le strade e chi progetta una Ferrari, poiché “il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso”).
Come ha scritto recentemente la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro: “vogliamo trovare il modo e il tempo per sognare il sogno dei ragazzi: un’economia di pace e non di guerra, un’economia che si prenda cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno”.
Un’economia solidale, che abbia tra i principi fondanti quello della cooperazione e della sussidiarietà, con il sostegno agli agricoltori, agli artigiani, ai commercianti, ai liberi professionisti, alle partite iva, alle imprese, specialmente quelle piccole e medie, con il primato del lavoro sul capitale e del lavoratore sul profitto.
Dobbiamo dare risposta alla necessità, davvero inderogabile, di recuperare i diritti del lavoratore, in primo luogo sul fronte della stabilità del lavoro, riducendo il più possibile il precariato; dobbiamo costruire un sostegno forte al mondo giovanile, attraverso una solida alleanza tra l’economia, la finanza, la politica e la cultura così da creare reti di accompagnamento dei giovani verso il lavoro, insieme alla famiglia e alla scuola, perché non siano derubati del loro futuro.
Dobbiamo dare spazio a nuove relazioni tra le persone, per costruire una società della solidarietà, della cura e dell’attenzione reciproca.
Buon 1° maggio

Luciano Tarozzi

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